L'Angolo
L'EX - Coronavirus, Bianchi: "Io da solo a Bergamo senza i miei figli"
25.03.2020 11:07 di Redazione Fonte: Giovanni Annunziata per il Roma

NAPOLI. Il Covid-19 nell’ultimo mese ha stravolto le vita dell’Italia intera. Il virus è avanzato sempre più facendo migliaia di vittime e contagiati. Tra le zone più colpite c’è Bergamo, dove oggi vive la quarantena Ottavio Bianchi. L’ex allenatore è nella storia del Napoli per aver vinto il primo, storico, scudetto della storia partenopea. Lui di momenti difficili ne ha vissuti, ma con la sua forza è sempre riuscito a venirne fuori. Oggi si trova ad affrontare una nuova battaglia, ma questa volta con un Paese intero. Non gli manca la solita grinta, la voglia di venirne fuori e di tornare alla vita di tutti i giorni. Il momento non è semplice.

 

Che aria si respira a Bergamo? «A dir la verità non so dirlo perché sono chiuso in casa da quindici giorni. Chiaramente non si vede nessuno passare per strada. Fino a pochi giorni fa sentivo tantissime ambulanze, ma sembra che oggi la situazione sia leggermente migliorata. Non vorrei che fosse una mia impressione. Però è una cosa gravissima, dove gli ospedali sono strapieni, non c’è una persona che si conosca che non abbia avuto decessi. Stiamo vivendo una cosa epocale, come durante la Guerra Mondiale. Bergamo ha superato le vittime della Cina, che ha un numero impressionante di abitanti in più».

 

Come sta vivendo questo periodo? «Male, molto male. Sono chiuso in casa, i miei figli non posso vederli, abbracciarli. La preoccupazione è tanta, anche di trasmettere o di essere infettato. Praticamente sei da solo con tutti i tuoi problemi e quando sei abituato a stare in giro, all’aperto, ti viene uno stato di rassegnazione non adeguato al momento. Perché bisogna reagire, bisogna fare qualsiasi cosa per tenersi rigorosi. La situazione però è molto difficile».

 

Di situazioni difficili ne ha affrontate. Si sente di fare un paragone facendo un tuffo nel passato? «Purtroppo nella mia carriera ho avuto tanti giorni passati in ospedale. Alcuni in reparto di terapia intensiva. Quando sei lì non pensi a niente, sei talmente pieno di macchine che quando pensi di uscire e continuare la vita immagini di andare in mezzo alla natura, a sentirla e vederla mentre si sveglia. Non pensi a delle cose che ti sono successe dal punto di vista professionale. Questo è un periodo analogo, solo che oggi sei sveglio. Sai tutto, sei consapevole ma non sai cosa ci sarà domani. Allo stesso tempo però la voglia è quella di poter uscire e vedere che la vita continua non solo per me ma anche per gli altri. È veramente una situazione dove la gente soffre, deve farlo in silenzio e spesso ci sono anziani che sono soli in casa. Le cose negative sono tante e fanno pensare a tutto, alla fragilità e la futilità della vita, alle cose stupide per cui ti sei arrabbiato».

 

Numero di morti e contagiati leggermente in calo, seppur ancora alto. Si inizia ad intravedere una luce? «Purtroppo è ancora presto. Ci sono ancora persone che mi telefonano, che sono sole in casa, ma non sono mai state visitate ed hanno questi sintomi. Gli dicono cosa fare, ma non hanno mai fatto tamponi e sperano solo di passarla liscia. Il numero esatto non si sa. Fino a qualche giorno fa vedevo dieci telegiornali al giorno, ormai mi rifiuto di farlo e ne seguo uno e basta».

 

Anche il mondo del calcio giustamente si è fermato. Sono stati commessi degli errori? «Nel calcio così come al di fuori, per arrivare a questo punto, gli errori sono stati fatti. In questo momento però andare a puntare il dito contro qualcuno non sarebbe corretto, ci sono delle vite in pericolo. Chiaro che gli errori sono stati fatti. Ora sentiamo tanti parolai, ma servirebbe stare zitti, presenti, darsi una mano l’un l’altro. Poi quando sarà finita, se finirà, analizzare gli errori per non ripeterli e lavorare tutti insieme. Le polemiche gratuite non portano a nessun traguardo».

 

Un messaggio di speranza a tutti gli italiani.... «Non mi sento la persona più indicata, però dico a tutti di aiutarsi, di stare attenti. Dobbiamo rispettare in maniera ossessiva ciò che ci dicono. In questo momento bisogna dare retta a scienziati, medici, a chi lavora in prima linea per riuscire a risolvere dei problemi anche più grandi di loro».

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L'EX - Coronavirus, Bianchi: "Io da solo a Bergamo senza i miei figli"

di Napoli Magazine

25/03/2024 - 11:07

NAPOLI. Il Covid-19 nell’ultimo mese ha stravolto le vita dell’Italia intera. Il virus è avanzato sempre più facendo migliaia di vittime e contagiati. Tra le zone più colpite c’è Bergamo, dove oggi vive la quarantena Ottavio Bianchi. L’ex allenatore è nella storia del Napoli per aver vinto il primo, storico, scudetto della storia partenopea. Lui di momenti difficili ne ha vissuti, ma con la sua forza è sempre riuscito a venirne fuori. Oggi si trova ad affrontare una nuova battaglia, ma questa volta con un Paese intero. Non gli manca la solita grinta, la voglia di venirne fuori e di tornare alla vita di tutti i giorni. Il momento non è semplice.

 

Che aria si respira a Bergamo? «A dir la verità non so dirlo perché sono chiuso in casa da quindici giorni. Chiaramente non si vede nessuno passare per strada. Fino a pochi giorni fa sentivo tantissime ambulanze, ma sembra che oggi la situazione sia leggermente migliorata. Non vorrei che fosse una mia impressione. Però è una cosa gravissima, dove gli ospedali sono strapieni, non c’è una persona che si conosca che non abbia avuto decessi. Stiamo vivendo una cosa epocale, come durante la Guerra Mondiale. Bergamo ha superato le vittime della Cina, che ha un numero impressionante di abitanti in più».

 

Come sta vivendo questo periodo? «Male, molto male. Sono chiuso in casa, i miei figli non posso vederli, abbracciarli. La preoccupazione è tanta, anche di trasmettere o di essere infettato. Praticamente sei da solo con tutti i tuoi problemi e quando sei abituato a stare in giro, all’aperto, ti viene uno stato di rassegnazione non adeguato al momento. Perché bisogna reagire, bisogna fare qualsiasi cosa per tenersi rigorosi. La situazione però è molto difficile».

 

Di situazioni difficili ne ha affrontate. Si sente di fare un paragone facendo un tuffo nel passato? «Purtroppo nella mia carriera ho avuto tanti giorni passati in ospedale. Alcuni in reparto di terapia intensiva. Quando sei lì non pensi a niente, sei talmente pieno di macchine che quando pensi di uscire e continuare la vita immagini di andare in mezzo alla natura, a sentirla e vederla mentre si sveglia. Non pensi a delle cose che ti sono successe dal punto di vista professionale. Questo è un periodo analogo, solo che oggi sei sveglio. Sai tutto, sei consapevole ma non sai cosa ci sarà domani. Allo stesso tempo però la voglia è quella di poter uscire e vedere che la vita continua non solo per me ma anche per gli altri. È veramente una situazione dove la gente soffre, deve farlo in silenzio e spesso ci sono anziani che sono soli in casa. Le cose negative sono tante e fanno pensare a tutto, alla fragilità e la futilità della vita, alle cose stupide per cui ti sei arrabbiato».

 

Numero di morti e contagiati leggermente in calo, seppur ancora alto. Si inizia ad intravedere una luce? «Purtroppo è ancora presto. Ci sono ancora persone che mi telefonano, che sono sole in casa, ma non sono mai state visitate ed hanno questi sintomi. Gli dicono cosa fare, ma non hanno mai fatto tamponi e sperano solo di passarla liscia. Il numero esatto non si sa. Fino a qualche giorno fa vedevo dieci telegiornali al giorno, ormai mi rifiuto di farlo e ne seguo uno e basta».

 

Anche il mondo del calcio giustamente si è fermato. Sono stati commessi degli errori? «Nel calcio così come al di fuori, per arrivare a questo punto, gli errori sono stati fatti. In questo momento però andare a puntare il dito contro qualcuno non sarebbe corretto, ci sono delle vite in pericolo. Chiaro che gli errori sono stati fatti. Ora sentiamo tanti parolai, ma servirebbe stare zitti, presenti, darsi una mano l’un l’altro. Poi quando sarà finita, se finirà, analizzare gli errori per non ripeterli e lavorare tutti insieme. Le polemiche gratuite non portano a nessun traguardo».

 

Un messaggio di speranza a tutti gli italiani.... «Non mi sento la persona più indicata, però dico a tutti di aiutarsi, di stare attenti. Dobbiamo rispettare in maniera ossessiva ciò che ci dicono. In questo momento bisogna dare retta a scienziati, medici, a chi lavora in prima linea per riuscire a risolvere dei problemi anche più grandi di loro».

Fonte: Giovanni Annunziata per il Roma